SPETTACOLI
Viola Graziosi ed Ermelinda Bonifacio | LA PRIMA STELLA
Memorie del Ghetto di Roma, da “La parola ebreo” di Rosetta Loy e “16 ottobre 1943” di Giacomo Debenedett
Enrico Pieranunzi, pianoforte, Blas Roca Rey, lettura | ROMA 1849
La Repubblica Romana nei versi di Cesare Pascarella
da un’idea di Blas Roca Rey
Cos’hanno in comune un attore di talento come Blas Roca Rey e Enrico Pieranunzi, prestigioso pianista jazz? La risposta è Roma, quattro lettere e millenni di storia, ma è soprattutto la grande passione per le atmosfere, per i suoni verbali e musicali di una città unica al mondo.
Esplor/Azioni, che da tempo si adopera per far conoscere luoghi e pagine dimenticate di Roma, ha voluto condividere questa passione con Roca Rey, decidendo con lui di riproporre i sonetti romaneschi di Storia Nostra, poema in cui Pascarella racconta le drammatiche vicende della Repubblica Romana dall’angolo visuale del disincantato ma partecipe popolo romano.
Per quanto riguarda Pieranunzi, figlio di un chitarrista-cantante che ha dato un contributo di rilievo al repertorio folklorico romano, accettare con entusiasmo questa collaborazione è stato molto naturale visto il profondo legame artistico ed esistenziale che lo unisce alla sua città.
Tra Blas Roca Rey e Enrico Pieranunzi c’è però in comune molto di più: la voglia-necessità di raccontare e rendere teatro d’oggi, attraverso la lettura del primo e i suoni improvvisati al piano del secondo, speranze e illusioni di un periodo chiave della storia italiana, che i versi di Cesare Pascarella ci restituiscono con rara forza poetica.
Ermelinda Bonifacio | IL BESTIARIO La città, giungla contemporanea.
dal Bestiario di Dino Buzzati, drammaturgia di Gioia Costa
Le rondini, la foca, un canguro, un pesciolino, Laika, quattro conigli, un cane, una lumaca, la lucciola.
Cuore del mondo raccontato nel Bestiario di Dino Buzzati sono gli animali. È un mondo vario, il suo, che all’inizio lo vede uscire all’alba con cani, fucili e scorte di proiettili: ha sedici anni, e la passione della caccia. Poco dopo, negli stessi luoghi, posa il fucile e la sua arma, affinata per il disegno quanto per la scrittura, diventa la penna. Annota allora avventure e impressioni della natura cittadina e di quella, selvaggia, che cercava fra boschi, pianure e le amate montagne.
Più volte nel Bestiario si sfiora un tema, quello del misterioso linguaggio della natura, cui non è dato accedere.
Gli animali allora vengono in nostro soccorso, e può accadere che traducano per noi voci incomprensibili.
Cagliari/Mutazione | Fucina Teatro
Paolo Graziosi | L’Altro
dedicato a Monsignor Della Casa
a cura di Alfonso Santagata, Paolo Graziosi e Gioia Costa
Nella società feudale, quando i cavalieri che sapevano maneggiare le armi e andare gagliardamente a cavallo si ritrovavano dopo le battaglie e i tornei, felici di essere ancora insieme e vivi, il mangiare nello stesso piatto, con lo stesso cucchiaio, l’intingere il pane nelle vivande del vicino, erano gesti che rinsaldavano e accentuavano i vincoli di fratellanza. Invece, nel secolo in cui le corti degli Este e dei Gonzaga gareggiavano in sfarzo e in cui vestiti e mantelli sfavillavano di gemme vere, questi modi dovettero sembrare insopportabili. Ed ecco il fiorire i manuali di buona creanza, dei quali il Galateo è certamente il più noto. Monsignor della Casa, amante della bella vita, era, anche, un fine letterato: trattati in latino, versetti comici e anche licenziosi; ma il suo nome è legato a questo arguto libretto nel quale, fingendo di essere il precettore di un giovane di nobile famiglia, elabora un codice di comportamento, di etica e di estetica indispensabile per chi voglia vivere in mezzo agli altri e non “per le solitudini”.
Clara Galante | A B C
Dedicato a Irene Brin
Nella Roma che va dal primo dopoguerra agli anni ’60, la Roma dell’aperitivo a via Condotti dove si incontravano Ennio Flaiano, Vittorio Gorresio, Diego Calcagno, la Roma nella quale la libreria Rossetti di via Veneto era un punto di ritrovo per gli intellettuali, non solo maîtres à penser di allora, ma anche maîtres à s’habiller, si muoveva briosa ed elegante Irene Brin, fra la galleria d’arte che aveva aperto con suo marito Gaspero Del Corso a via Sistina e i risotti azzurri a forma di cigno, serviti nel suo appartamento romano di Palazzo Torlonia, che, come racconta Lietta Tornabuoni, erano un test per conoscere meglio gli ospiti: arma infallibile per liberarsi delle persone sgradite, che non tornavano più, scoraggiate dal mistero, e condanna per chi voleva far vedere di essere abituato a tutto fingendo di non sorprendersi. E con la sua prosa intelligente traccia un dizionario: non per il bel mondo, dice la Brin, ma per il buon mondo, che è molto lontano dagli abiti “firmati” e dalle ostentazioni dei nuovi galatei: Irene Brin conosce bene una tradizione di garbo e cortesia, di “buone maniere”, buona nascita, buone tradizioni” che contribuiscono a rendere la vita più piacevole, certo; ma soprattutto più umana.
Valerio Binasco | Tutto ciò avendo i polsi legati
dalle lettere dal carcere di Antonio Gramsci
Via Morgagni 25, a Roma. È qui che Gramsci venne arrestato l’8 novembre del 1926, in una stanza che aveva preso in affitto presso la famiglia Passarge. Dal carcere non uscirà mai più: il pubblico ministero disse al processo: “Per venti anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare” e la condanna fu di venti anni, quattro mesi e cinque giorni, ma non impedì certo a quel cervello di funzionare. Dal lungo cammino attraverso le varie prigioni uscirono infatti trentaquattro grossi quaderni, ogni foglio con il timbro del penitenziario e la firma del direttore, tremila pagine di appunti, note e saggi “sì che il tempo non passi perduto” che, dirà Togliatti in un discorso che tenne a Napoli il 29 aprile 1945, nei giorni della Liberazione, “a grande fatica riuscimmo nel momento della morte di Gramsci a strappare al carcere”. E le lettere: quasi tutte ai familiari: alla moglie russa Julca, alla cognata Tatiana, alla madre, al fratello Carlo, alle sorelle e ai figli Delio e Giuliano, il secondo dei quali Gramsci non conoscerà mai. Sebbene anche queste fossero sottoposte alla censura del carcere e a quella dello stesso Gramsci, al quale è difficile vincere il riserbo di descrivere i suoi sentimenti sapendo che occhi estranei leggeranno quelle righe, troviamo in una lettera a Tatiana del dicembre del 1926: “Scrivere e ricevere lettere è diventato per me uno dei momenti più intensi di vita”. I suoi giudici non riuscirono a fargli scontare tutta la pena. Dopo poco più di dieci anni dall’arresto, Gramsci moriva, alla clinica Quisisana di Roma, assistito dalla cognata Tatiana. Le sue ceneri, chiuse in un’urna, sono inumate nel cimitero cosiddetto “degli Inglesi”, a Roma.
Giselda Volodi | La ruggine e l’oro
dedicato a Caterina Fieschi Adorno, a cura di Gioia Costa
Mistica, colta, nobile, Caterina Fieschi Adorno ha influito in maniera profonda sulla sua epoca anticipando l’esigenza della Riforma, predicando la carità, denunciando la vendita delle indulgenze e conversando con i massimi teologi e intellettuali del Quattrocento. E grazie a Giselda Volodi può oggi raccontare i suoi incontri con Savonarola, con Pico della Mirandola o con Martin Lutero, e narrare le novità che il suo concittadino Cristoforo Colombo stava svelando alla Repubblica di Genova, arrivando dalle Americhe con metalli lucenti, cioccolati inebrianti e animali e spezie e semi di piante sconosciute. Ma la Fieschi parla anche della peste che colpì Genova, e dell’arrivo della sifilide, giunta in Italia con la discesa di Carlo VIII e del suo seguito di 800 meretrici e di 56.000 soldati in armi che terrorizzavano nobili e potenti. La visione della malattia, del terrore e delle diseguaglianze sociali, sempre accentuate dai flagelli, la indussero a scegliere: dapprima si dedicò ai malati, poi iniziò a scrivere, e ne nacque il suo Trattato del Purgatorio nel quale emerge un pensiero teologico di grande rigore e in anticipo sui suoi tempi.
Ennio Fantastichini | Lo specchietto e il diamante
liberamente tratto dalla Vita di Benvenuto Cellini, a cura di Carla Calisse
Un personaggio d’eccezione, il temerario creatore di bellezza Benvenuto Cellini, riappare per raccontare la Roma del Rinascimento, quando i diavoli apparivano al Colosseo e Michelangelo e Cellini cenavano in allegria, quando i geni erano geni a tutto tondo (scultori, orafi, poeti) e il Papa non esitava a mettersi in salvo dal sacco di Roma con i gioielli cuciti nel corsetto. Benvenuto non ha titubanze, per esaltare l’eccellenza della sua figura, nel modificare gli avvenimenti tutti in suo favore: ma malgrado questo, o forse proprio per questo, è vivissimo il ritratto di un uomo senza pari che vive in un’epoca straordinaria, che esce da quell’impareggiabile libro di avventure che è la Vita di Benvenuto Cellini. E per dar vita a queste pagine appassionanti un interprete perfetto: Ennio Fantastichini. Con la sua veemenza e la sua intelligenza delle parole, racconta un Rinascimento modernissimo e appassionato che sembra si possa rivivere ancora uscendo in via Giulia dopo l’incontro fra questi due artisti della passione.
Milena Vukotic, con Ludovica Scoppola al flauto | Paolina Borghese,
La Reine des Colifichets, la regina dei ninnoli
Non sono stati indulgenti con Paolina Borghese, gli storici: e lo scandalo che nacque intorno alla statua di lei in veste di Venere, fatta dal Canova, non contribuì a migliorare le cose. Ma a ben guardare i peccati di questa bellissima donna furono veniali: amava i bei vestiti, le feste, le acconciature e il titolo di principessa romana, è vero; è anche vero che ebbe degli amanti: ma fu anche l’unica, nella sua tumultuosa famiglia, a essere vicina a Napoleone nei giorni dell’esilio all’Elba, ad aiutarlo nella sua fuga dall’isola (in che modo? dando un ricevimento in maniera che il rumore della festa coprisse quello dell’attracco delle barche: Paolina era sempre Paolina), e a preoccuparsi per lui nel momento della disgrazia fino al punto di dargli i suoi tato amati diamanti da vendere se avesse avuto bisogno di denari. Rendiamo omaggio ad una bella e sfortunata protagonista del suo tempo, morta così giovane, ricordandone non solo i capricci e gli amori, ma anche la generosità, la cortesia e la benevolenza di cui fu prodiga con tutti.
Tommaso Ragno | Mastro Titta passa ponte
Giovan Battista Bugatti è stato il boia dello Stato Pontificio e, in meno di 70 anni, dal 1786 al 1864, ha eseguito di sua mano 516 condanne. Questa pagina di storia ricca di sguardi illustri, di commenti acuti, di spunti di costume, di usanze e dimenticate consuetudini dipinge una galleria umana nella quale Titta troneggia, protagonista assoluto. Ne emerge lo spaccato di un’epoca e la valutazione delle emozioni o dei delitti: il posto dell’onore, della morale, della famiglia, ma anche della passione, della giustizia, del pettegolezzo, della res publica e della condanna, dell’ordine e della colpa rappresentano un documento di grande fascino, tutt’altro che superato, e una riflessione sulla pena di morte e sul tema della giustizia.
Amanda Sandrelli | Cristina di Belgiojoso, la principessa rivoluzionaria,
musiche originali del fondo Maffei de Lutti e Belgiojoso eseguite da Corrado Ruzza (pianoforte) e Oksana Lazareva (contralto)
Un omaggio a Cristina di Belgiojoso, femminista ante litteram, bella, coraggiosa, cosmopolita, ricchissima. Dà vita a Parigi a un salotto letterario frequentato da Bellini, De Musset, Balzac, Liszt, La Fayette; ispira grandi amori, è ammirata da poeti, musicisti, storici e uomini politici e tratta direttamente con re e capi di stato.
Volitiva, colta e indipendente, principessa e grande lavoratrice, Cristina non dimentica il suo impegno sociale: è ardente patriota, protagonista delle vicende dell’unificazione italiana: a Parigi si occupa dell’assistenza agli esuli, in Italia apre asili nido e crea scuole maschili e femminili che suscitano scandalo fra i benpensanti dell’epoca. Lo stesso Manzoni commenta con sarcasmo la sua mania di insegnare ai contadini a leggere e scrivere, chiedendosi: “Ma quando saranno tutti eruditi, chi zapperà la terra?”
Mazzini aveva intuito le sue qualità eccezionali, e la nomina direttrice degli ospedali romani. Cristina, molto prima di Florence Nightingale, mette insieme un corpo di crocerossine volontarie di ogni ceto sociale, dalle borghesi alle prostitute, che offrono, sì, il fianco a qualche critica, sempre dei soliti benpensanti, ma che si rivelano straordinariamente efficienti e organizzate nel proprio lavoro.
Con la casa editrice da lei creata, pubblica libri e saggi, di vari autori ma anche suoi: fra questi nel 1860 pubblica Della presente condizione delle donne e del loro avvenire, nel quale analizza le cause dell’emarginazione della donna, che ha radici in tempi lontani e dipende in gran parte dall’esclusione dagli studi. È lì che bisogna farsi strada: è lì la porta aperta per l’emancipazione: è per questo che ha creato scuole, non solo maschili ma anche femminili.
Un omaggio, quindi, a Cristina di Belgiojoso, e alle sue tante vite parallele, e intrecciate fra di loro, esempio di coraggio e indipendenza che all’Italia fa onore.
Giuliana Lojodice | Perseverando arrivi,
dedicato a Margherita Sarfatti
Una signora della cultura italiana attenta ai mutamenti sociali, al cambiar delle forme e al valore delle parole. Margherita Sarfatti ha attraversato e contribuito a scrivere una pagina capitale della storia italiana. Giornalista, critica d’arte, intellettuale e scrittrice, è stata lei a coniare il nome del gruppo “Novecento”, lei a individuare nell’educazione la chiave politica della crescita italiana, attribuendo alle élites intellettuali il compito di diffondere, spiegare e dar forma al modello della “Terza Italia”, che fu poi utilizzato da Mussolini, allora direttore dell’Avanti, come base teorica del futuro fascismo. Giuliana Lojodice, in Perseverando arrivi, la accompagna nei ricordi degli ultimi anni, dopo l’esilio in Sud America e il ritorno in Italia nel 1947.
Maria Paiato | Non ho imparato nulla,
da Scottature di Dolores Prato
Dolores Prato ha scritto molto, pubblicato poco e tardi. Quinta figlia illegittima e rifiutata di una buona famiglia, è cresciuta fra uno zio prete colto e molto amato e un collegio. Ebrea, con le leggi razziali ha abbandonato l’insegnamento collaborando da allora con le pagine culturali dei quotidiani. Nel 1965 è stato pubblicato Scottature, da cui lo spettacolo è tratto, mentre il resto degli scritti ha atteso anni nelle scatole, dove lei ha raccolto ricordi ed emozioni. Quando uscì il suo capolavoro, Giù la piazza non c’è nessuno, Lalla Romano scrisse nel 1998: “È tale la mia ammirazione per il libro che, proprio per questo, temo la corriva facilità dei nostri giorni”. L’incontro con una scrittura può essere intenso come il profumo di una rosa in un crepuscolo di compieta, come racconta la Prato con struggente bellezza grazie a Maria Paiato.
Margherita Buy, Blas Roca Rey, Ermelinda Bonifacio | Cronache della Repubblica Romana
Due personaggi affascinanti: tutti e due di nobile famiglia, letterati, uniti dal fervente amore per gli ideali risorgimentali.
Lui, bello, biondo, idealista, sembrò voler assaporare avidamente tutto ciò che la vita poteva offrirgli, quasi conoscesse il suo destino: quando morì, a soli ventidue anni, aveva già scritto poesie, odi, commedie; era stato musicista e direttore di giornali; aveva scritto Il canto degli Italiani, l’Inno di Mameli, che divenne poi l’inno nazionale della Repubblica Italiana; era andato in aiuto di Nino Bixio durante l’insurrezione di Milano ed era stato capitano con Garibaldi; aveva abbracciato la causa della Giovane Italia e aveva combattuto per l’indipendenza.
Lei aveva raggiunto nella sua vita un successo impensabile per le donne di quell’epoca. Bella, potente, cosmopolita, aveva organizzato a Parigi un salotto letterario frequentato da Bellini, De Musset, Balzac; aveva creato asili nido e scuole maschili e femminili che suscitarono scandalo nei benpensanti dell’epoca; ardente patriota, era stata protagonista delle vicende dell’unificazione italiana; aveva pubblicato articoli per giornali, analisi di costume e saggi. Fra questi, e senza mai farsi vanto dei suoi successi, il trattato Della presente condizione delle donne e del loro avvenire, per indicare alle sue contemporanee la difficile, ma possibile, strada verso l’emancipazione.
Fra le tante sue esperienze, vi fu anche quella di infermiera negli ospedali militari che dirigeva: e il destino volle che proprio fra le sue braccia spirasse il bellissimo, giovanissimo, Goffredo Mameli.
Un progetto di Esplor/Azioni in collaborazione con Michele D’Andrea
Luci Stefano Di Nallo, accoglienza Monica Guadagnini
Un ringraziamento a Novella Bellucci, Elena Somaré e Paola Sarcina
Milena Vukotic, Ludovica Scoppola al flauto | IL PIANETA DEGLI ALBERI DI NATALE
di Gianni Rodari
Perché raccontare questo testo? Perché possiede la gioia del Natale più puro, che è quello dello sguardo infantile, con i suoi simboli, le sue attese, i colori, i profumi e i sapori pregustati, ma accanto a questa incarnazione della festa Il Pianeta degli Alberi di Natale è, grazie alla fantasia dell’autore delle Favole al telefono Gianni Rodari, la cronaca fantastica di un viaggio libero e felice, nel quale un bambino, Marco, scopre un paese magico. Lì, ad esempio, “i giocattoli si vendono gratis” e quindi è possibile capire quale sia la forza del dono – ciò che non chiede nulla in cambio e che può quindi sovvertire tutto – lì il protagonista Marco misura il potere delle parole e la gioia della responsabilità. Sotto il manto del regno dei desideri, Il pianeta degli alberi di Natale è un invito alla pace, all’amicizia tra i popoli, alla solidarietà, al rispetto per gli altri e alla tolleranza. Ed è un invito elegante e alla portata di tutti, una fiaba capace di parlare a ciascuno dei valori più piccoli e potenti, grazie a un viaggio pedagogico fra i più stupefacenti della letteratura. Non sono solo favole, quelle di questo scrittore per grandi e piccini che per tutta la vita è stato impegnato in prima persona nelle battaglie politiche e sociali del suo tempo: lavorare per la pace, la solidarietà e il rispetto degli altri è il messaggio pedagogico contenuto in tutti i suoi sorridenti piccoli capolavori.